autointervista – “Tutto passa invano”

Un modo semplice, veloce e schematico per condividere alcuni pensieri alla vigilia della pubblicazione del libro. O forse l’apoteosi dell’autoreferenzialità. Oppure i primi sintomi di schizofrenia. Chissà…

– Quando e come nasce “Tutto passa invano“?
I racconti sono stati scritti più o meno di getto, nei momenti più disparati, fra l’inizio del 2001 e l’estate 2007.
L’idea della raccolta invece non ricordo di preciso quando sia stata concepita, però è nata in modo molto naturale prendendo atto che una parte degli scritti sparsi fra i miei quaderni avevano un filo conduttore comune molto forte e, messi tutti insieme, potevano comporre qualcosa che avesse un suo senso globale con una storia ed un “sentire” ben precisi.
Il progetto editoriale invece è molto più recente e si è realizzato nel giro di pochissimi mesi nel momento in cui ho sentito l’esigenza di chiudere il cerchio fermando definitivamente su carta questa storia, questi momenti e queste sensazioni. Tutto qui.

– Quindi si può dire che il libro, pur essendo una raccolta di racconti, narri un’unica storia?
A suo modo, certamente si. Per questo mi piace definirlo come una raccolta “concettuale” di racconti, un po’ come i cantautori degli anni ’70 parlavano di “concept album” per alcuni loro dischi.
Spesso, quando ti guardi indietro, più che pensare al tuo passato come una linea continua di avvenimenti, ti vengono semplicemente in mente una serie di ricordi a sé stanti: una lunga serie di momenti ed episodi che, messi uno di fianco all’altro, ricostruiscono il tuo percorso. “Tutto passa invano” é costruito più o meno in questo modo: una serie di episodi che tratteggiano qualcosa di più ampio.
Anche se spesso, più che la storia in sé, credo siano importanti le percezioni che ne derivano e penso che, sotto molti aspetti, siano queste sensazioni le vere protagoniste del libro.

– Il titolo potrebbe suggerire un certo pessimismo ed una buona dose di disillusione, non trovi?
Il titolo credo sintetizzi semplicemente una delle sensazioni che ritorna in diversi racconti.
Di disillusione sicuramente ce n’è molta. Ma io sono convinto che la disillusione, se vissuta in modo costruttivo, possa essere il primo passo verso la serenità. Pessimismo invece assolutamente no.
Sicuramente c’è molta malinconia e spesso una buona dose di amarezza. Ci sono dei momenti estremamente cupi, specie nella prima metà del libro. Ma ci sono anche dei bei lampi di serenità. E mi piace credere che ci sia un percorso, almeno abbozzato, verso un certo tipo di consapevolezza.

– Nei 21 racconti si vedono passare diversi personaggi ma nessuno ha un nome. E’ una scelta precisa? Non temi che questa mancanza di nomi propri possa rendere più difficoltosa la lettura?
In realtà è una cosa nata in modo spontaneo. Forse perché i singoli racconti fotografano attimi brevi e precisi per cui, nelle prime stesure, non ho mai sentito il bisogno di dare nomi ai personaggi.
D’altra parte questa mancanza di riferimenti mi affascina e trovo che rafforzi il senso di straniamento che c’è in alcuni passaggi.
Poi comunque non assolutamente credo che questa mancanza renda difficoltosa la ricomposizione del mosaico: il percorso mi sembra comunque piuttosto chiaro, anche quando ci sono personaggi che ritornano in momenti diversi. E dopotutto, se così non fosse, è bello lasciare ad ognuno un minimo di libertà di interpretazione.

– Quanto c’è di autobiografico in questo libro?
Milan Kundera diceva che, nel momento in cui ti metti a scrivere, la cosa più naturale è parlare di te, di ciò che hai vissuto o quanto meno di ciò che ti sta più vicino. Credo sia naturale mettere molto di se stessi in ciò che si scrive.

– In coda ai racconti si trova una seconda parentesi dedicata a delle poesie…
Più che di poesie parlerei di pensieri espressi in versi piuttosto liberi. Sono messe in coda al libro come se fossero le “tracce fantasma” di un disco: non fanno parte del progetto principale ma ci sono comunque. Sono alcuni dei molti scritti di quel tipo nati negli stessi anni dei racconti. Dunque, anche se sono qualcosa di diverso dal punto di vista stilistico, hanno un legame molto stretto con “Tutto passa invano” ed era giusto che qualcuno di questi finisse all’interno del libro.

– La copertina come è stata scelta? C’è un legame fra copertina e contenuto del libro?
Anche la scelta della copertina è stata molto naturale. In realtà inizialmente cercavo una foto in cui ci fosse la neve… poi, mentre stavo ultimando il libro, mi sono ritrovato per caso fra le mani questa foto, opera di una mia amica che me l’ha gentilmente prestata, e mi è sembrata subito l’immagine ideale per fare da copertina al libro: quel cielo pieno di chiaroscuri con quello scorcio di terra che sembra aver perso l’orizzonte riflette molto da vicino alcune sensazioni che il libro cerca di trasmettere e forse anche ad alcuni paesaggi descritti.

– Classica domanda finale: progetti futuri al momento dell’uscita di questo primo libro? Ci sarà prima o poi un seguito?
Un seguito in senso stretto, sicuramente no. “Tutto passa invano” è un libro che chiude un cerchio. Quello che verrà da qui in avanti prenderà certamente strade diverse. Anzi, a dire il vero ci sono già dei racconti, scritti anche contemporaneamente a quelli appena usciti, che vanno in altre direzioni.
Come direbbe qualcuno: vedremo…