cosa ci stanno facendo diventare
Pomeriggio di fine estate lungo un vialone pieno di semafori alla periferia di una piccola città. Un signore in bicicletta riparte appena scatta il verde ma manca l’aggancio di un pedale, si sbilancia e frana a terra al centro della carreggiata sotto lo sguardo di una ragazza bionda sulla trentina che aspetta probabilmente l’attraversamento pedonale. Per fortuna alle sue spalle non arriva nessuno: solo io che, pedalando nella sua stessa direzione, sono fermo al semaforo precedente e lo raggiungo qualche secondo dopo.
Lo aiuto a rimettersi in piedi e gli chiedo se va tutto bene ma sembra essere solo un po’ frastornato e con una leggera escoriazione su un braccio però, quando siamo entrambi tornati in sella, mi viene spontaneo lanciare un’occhiata poco simpatica alla ragazza bionda che continua a osservare la scena con assoluto distacco. A quel punto lei, sentendosi forse chiamata in causa, si rivolge al signore: «Scusi se non l’ho aiutata» dice «ma, sa, bisogna mantenere il distanziamento».
Ecco. Questo è ciò che stiamo diventando. E non è un episodio isolato: è solo il più insignificante esempio di come il panico di questi mesi stia bruciando ciò che resta della nostra umanità.