a proposito di “L’altro allo specchio”
Quando Marco Ambrosi mi ha inviato l’intervista che aveva fatto a un giovanissimo di origine sudamericana a cui insegna italiano chiedendomi di trasformarla nella fonte d’ispirazione per un racconto da inserire nell’antologia “L’altro allo specchio”, la sfida mi ha subito stimolato molto. In un momento storico in cui qualunque discussione sull’integrazione finisce in una banale caciara fra “salvinismo” e “boldrinisimo”, mi sembrava importante avere l’occasione di provare a riportare ogni cosa in una dimensione più umana.
L’intervista, oltretutto, conteneva già il romanticismo e la malinconia necessari per costruire un racconto. Ciò che mi sono sentito di fare, proprio per fare emergere ancora di più quelle sfumature, è stato inserire qualche richiamo ai romanzi di Marquez. Mi piaceva pensare a quel ragazzo come l’ultimo discendente della famiglia Buendìa di “Cent’anni di solitudine” improvvisamente sradicato da una Macondo contemporanea. Ma ancora di più mi premeva sottolineare qualcosa che nelle parole del diretto interessato era già evidentissimo: il senso dolente di straniamento che si prova nel ritrovarsi privati delle proprie radici.
Leggere tutti i racconti dell’antologia uno dopo l’altro mi ha fatto un’ottima impressione. Credo che Marco Ambrosi sia riuscito a mettere insieme un bel mosaico di storie, stili ed emozioni. E sono molto orgoglioso di esserci.