c’era una volta il 2001

Mi è tornata in mente un’immagine: era l’inizio del 2001 -vent’anni fa esatti, settimana più o settimana meno- ed era un concerto dei Marlene Kuntz a Milano, in quello che all’epoca si chiamava Palavobis. A un certo punto sale sul palco Skin, ospite della band in una canzone, e una parte del pubblico la accoglie con una bordata di fischi.
Non si fischiava Skin in sé, ovviamente: si fischiava quello che rappresentava in quel momento, almeno agli occhi del pubblico più intransigente, in quel contesto e nel percorso dei Marlene. La si fischiava come simbolo di un’apertura a un concetto di “mainstream” e a tutto ciò che ne consegue. Dopotutto gli anni ’90 erano finiti ma molti di noi non se n’erano ancora accorti e a un certo tipo di integralismo “alternativo” ci si credeva davvero. Venivamo da anni in cui le parole e i simboli avevano un peso.
Si esagerava? Forse. Quello che però mi chiedo è come sia possibile che siamo riusciti a passare da un estremo all’altro. Dall’essere troppo idealisti e barricaderi all’assuefarci timorosi a ogni scempio. Dal fischiare un personaggio di tutto rispetto come Skin al farci andare bene qualunque cosa. Dal voler mettere in discussione il mondo intero all’accettare qualsiasi pagliacciata senza porci la minima domanda. Dall’essere ammassati sotto a un palco scambiandoci bicchieri di birra con perfetti sconosciuti al guardare ogni estraneo come un pericolo. Dal contestare una band che, a ben vedere, cercava solo di ampliare un pochino il proprio pubblico al considerare normale ogni tipo di giravolta ideologica da parte di chiunque in contesti ben più importanti.
Me lo domando davvero, come sia stato possibile tutto questo.