ventottogiunoduemilaventuno

Sono nato nell’estate di Ustica e della strage di Stato alla stazione di Bologna. Forse anche per questo mi hanno sempre fatto tenerezza i tentativi di etichettare in modo dispregiativo chiunque tenti di porsi domande sull’attendibilità delle verità ufficiali, come se non fossimo il Paese di Piazza Fontana, di Gladio, della P2 o dei legami fra mafia e politica.
Nonostante questo, per quasi tutta la mia vita ho pensato di vivere in un’epoca tranquilla, quasi piatta: un’epoca in cui i concetti di libertà si erano più o meno stabilizzati, in cui le ideologie non avevano più peso e in cui i grandi conflitti sociali si erano ormai consumati. Per lo stesso motivo ho sempre sorriso degli spauracchi sbandierati periodicamente negli anni scorsi: pupazzetti di regime additati a potenziali mostri per racimolare qualche consenso.
Mai avrei immaginato di ritrovarmi, a 41 anni, alla vigilia di un crollo così epocale, con il concetto stesso di essere umano sul punto di essere del tutto rivoluzionato, con le idee di democrazia, di Stato di diritto e di politica ormai sacrificate sull’altare dell’ultracapitalismo e con persino la chiesa cattolica appesa al filo flebile di un novantenne chiuso nelle sue preghiere. Mai mi sarei immaginato di ritrovarmi a un passo da una serie di tracolli così tragici, rapidi ma al tempo stesso silenziosi, presentati e accolti dalle masse con un positivismo grottesco basato su slogan degni dei peggiori imbonitori televisivi, come se anche il pensiero razionale fosse ormai moribondo.
Cosa accadrà nei prossimi mesi non lo posso sapere. Di certo molto del nostro futuro dipende dai “no” che avremo la forza di dire, anche a costo di qualche rinuncia. Occorre continuare a resistere sul piano umano e culturale nonostante l’ignavia dell’attuale classe intellettuale e politica. Dopodiché vedremo…
Sto invecchiando male, lo so. Ma il peggio deve ancora venire.